Come promesso a Michela, riesco finalmente a scrive due righe sul vino allevato in argilla, grazie al pacchetto degustazione dedicato agli assaggiatori che mi è stato consegnato giovedì scorso. Ad onor del vero tale ritardo è stato la conseguenza della mia assenza lo scorso 15 ottobre a Suvereto, in provincia di Livorno, presso la Tenuta Rubbia al Colle per assistere al primo incontro sul tema “ritorno all’argilla – il vino dall’anfora al Barriccoccio”, ovvero l’utilizzo di un materiale come l’argilla modellata in diverse forme contenitrici per affinare il vino, ed a un problema di sentore di tappo sulla prima fornitura dei campioni. Nel pacco ho trovato Barricoccio Val di Cornia Suvereto Sangiovese Doc 2010, il cui nome deriva dall’utilizzo di un particolare contenitore in terracotta per affinare il vino, il Barricoccio per l’appunto, delle stesse dimensioni e forma della classica barrique ed il Vigna Usilio Val di Cornia Suvereto Sangiovese DOC 2007, affinato in “classico” legno per 24 mesi. Come spiegato nell’acclusa documentazione, lo scopo non era di paragonare i due vini, differenti per natura, quanto quello di avere un termine di riferimento per poter meglio inquadrare le caratteristiche riscontrabili alla beva con l’utilizzo del nuovo contenitore. Passando all’assaggio del vino in questione, usando come riferimento il fratello maggiore, la cosa che mi ha piacevolmente intrigato è la territorialità. E’ un vino toscano figlio di sangiovese, proveniente dal vigneto Rumpotino, e questa caratteristica emerge senza ombra di dubbio dal bicchiere. Colore rubino corredato di splendidi riflessi, ottima vividezza. Naso fruttato, floreale con piacevoli accenni di humus e balsamico. In bocca esce la tipicità del sangiovese con la sua freschezza ed il tannino ancora irrequieto ma non esuberante. Un po’ di bottiglia non può far altro che migliorare questo vino facendo integrare meglio le sensazioni gustative. Piacevole alla beva e giustamente persistente al gusto. L’utilizzo dell’argilla non ha avuto un imprinting marcante nel gusto del vino. Sarebbe stato interessante poter degustare lo stesso vino allevato in barriques tradizionali, invece del fratello maggiore, per poter valutare quanto e come incide il contenitore. In conclusione non credo che l’utilizzo di un materiale antico, usato fin dai tempi dagli etruschi e riportato in auge alle cronache da precursori come Gravner, possa essere considerato come un ennesima trovata marketing per posizionare un nuovo prodotto. Credo piuttosto ad una scelta aziendale, condivisa da diversi produttori, per cercare di essere il meno invasivi possibile per preservare la territorialità del prodotto.