E’ notizia di ieri che l’iter per il riconoscimento del Prošek va avanti con la netta opposizione dell’Italia. La Commissione europea, ha dato il via alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue della domanda di registrazione del vino locale croato. Restano quindi solo due mesi per far valere le opposizioni, presentando ricorsi od obbiezioni, prima del D-day in cui la Commissione esternerà il suo parere definitivo. Moltissimi sono gli articoli che si possono trovare in rete in difesa dell’italico prodotto, ma siamo sicuri che possiamo influenzare la decisione?
Cominciamo col dire che il Prosecco è uno spumante metodo Martinotti prodotto per lo più nei dosaggi dal brut all’extra dry, bianco e rosato e ottenuto da uve Glera; il Prošek è un vino fermo dai riflessi ambrati e intensi, dolce, simile a un passito. Risulta difficile quindi condividere la tesi che la somiglianza del nome possa trarre in inganno i consumatori.
Del Prosecco se ne fanno oltre 500 milioni di bottiglie, del Prošek infinitamente meno, quindi anche l’eventuale erosione di quote di mercato in caso di approvazione da parte della Commissione dovrebbe essere irrisoria.
Le due precedenti osservazioni sembrano essere i cavalli di battaglia delle tesi difensive, scordandosi che, come già successo in passato, l’unico elemento determinante per la TUTELA di un prodotto è il TOPONIMO e non il vino.
Lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle per quanto riguarda il Tokaji ungherese e quello friulano (Tocai Friulano) che oggi può chiamarsi solo Friulano in quanto pur essendo due prodotti completamente diversi solamente il primo aveva un luogo sul proprio territorio da rivendicare.
Tutto quanto per dire che se, e solo se, i produttori croati troveranno il toponimo Prošek potranno rivendicarne la tutela, magari trovando un compromesso ed aggiungendo l’aggettivo “Dalmata”; altrimenti la cosa sembra essere una tempesta in un bicchier d’acqua.